Come stabilire il prezzo di un oggetto d’arte ha un margine di opinabilità. Esistono fiumi di documentari e di libri, perlopiù americani, che raccontano il sistema folle, le aste, le truffe e gli infiniti soldi sperperati nel mondo laccato del sistema Arte Contemporanea; pare che questo sia il modo più affascinante di raccontare questa storia. Il tutto è condito da tanto di critici e galleristi che ammoniscono, come Jerry Saltz, per dirne uno, nel documentario The value of nothing, a non fare questo lavoro perché la maggior parte degli operatori rimane povero. Ci sarebbe da capire cosa significa povero per un mondo che può raggiungere cifre davvero impressionanti: tuttavia è anche vero che nessuno fa mai una passeggiata in questo mondo, come del resto in tutto il mondo della cultura. Gli operatori in realtà sono tantissimi e lavorano in moltissimi modi. La vendita delle opere è uno dei business principali, ma non è l’unico.
Il mondo delle arti visive in particolare, inoltre, è molto complesso, variegato, oscilla tra molto ricco, appagato, frustrato e incompreso, con molti livelli intermedi… e ancora tra decorativo, molto snob e impegnato, combattivo, di grande spessore. Ovviamente esiste l’effimero ed esiste l’eterno, ed esiste la storia che si mangia i momenti effimeri posandoli ben presto in dei dimenticatoi prima insospettabili. È un problema di sguardo e di lungimiranza. Su questo sarà il caso di spendere qualche riga in articoli futuri.
Ritornando al tema. Per iniziare a capire cosa accade nel mondo economico del presente bisogna situarsi. Esiste una differenza tra diverse culture. Incentriamoci sull’Europa e sull’Italia, in particolare, per il momento. Consideriamo un artista attivo nel presente, vivo, operativo e in buona salute, evitiamo dunque le speculazioni, ogni discorso post-mortem e le operazioni d’asta.
Bisogna sapere che, relativamente alla pittura ad olio, su cui ci incentriamo in questa sede, esiste un coefficiente, che non del tutto si usa, ma che rimane come bilancia per capire dove situarsi. Il coefficiente può solo salire, mano che l’artista fa mostre importanti, realizza pubblicazioni, viene invitato a manifestazioni. Paradosso con cui familiarizzare: non si scende mai, contrariamente al mondo del libero mercato, nemmeno non vendendo.
Il prezzo, ad esempio, di una pittura ad olio, basato sul coefficiente dovrebbe venire calcolato così: Base + altezza x coefficiente (x10), i cm si trasformano in euro per una strana legge.
Ad esempio nel caso di un esordiente, appena diplomato, con poche mostre (non museali) già fatte, il coefficiente facilmente si suppone possa essere 0,2, destinato, come dicevo a salire. Perché si debba calcolare 0,2 x 10 e non direttamente 2 mi è oscuro.
Così si ottiene che un quadro che misuri, ad esempio 100×70 cm verrà calcolato così: 100 + 70=170, 170 x 2=340 euro
Facilmente un artista con qualche anno di lavoro e un pò di mostre alle spalle, meglio se con qualche pubblicazione e qualche presenza museale fosse’anche in collettive, e anche se non presente nella collezione del museo, può arrivare a 3400 euro per le stesse dimensioni, cioè ad un coefficiente 2. Minori sono i prezzi delle stampe, dei disegni, delle carte e di tutte le tecniche grafiche. Tratteremo le sculture e le installazioni in un altro articolo.
Gli artisti che incontrerete, una volta intrapreso questo lavoro, conoscono il loro coefficiente e il loro range di prezzo, tranne forse gli studenti, ma presto ci familiarizzeranno; sopratutto se avranno una galleria a gestirli, ma non solo in quel caso. Ci sono percentuali per il dealer, percentuali per la galleria, tutto necessariamente da concordare preventivamente; non necessariamente percentuali per il curatore che potrebbe facilmente scegliere una soluzione a cachè, senza rischi, ovvero di vedere pagato il lavoro e non il lavoro in caso di vendita, come il dealer. Il coefficiente ci dice qualcosa ma esiste anche l’abilità del mercante, un giorno un importante gallerista mi disse: “il prezzo dell’opera devi saperlo leggere negli occhi del compratore”. Tuttavia esiste un margine di semi oggettività.
Andiamo a vedere quali sono gli elementi che davvero fanno salire di prezzo un opera. Ricordiamo una legge della fisica, abbastanza particolare, in arte. Un oggetto che guadagna valore non lo perde. Bisogna sapere, si diceva, che il prezzo dell’arte non deve scendere, sarebbe vergogna, piuttosto si scompare. L’opera d’arte non può diminuire di valore semplicemente perché è vietato, sarebbe vergogna, nessuno vuole un’opera in declino. Perfino quando il mercato non consente più le cifre a cui l’artista era arrivato, si prospettano due soluzioni: o si vende sottobanco, senza mai dichiarare la flessione, o si accetta un lungo, forse infinito, silenzio. Dunque la flessione esiste ma solo nella contrattazione, facendola però apparire sempre come un dono che si fa al simpatico collezionista, un affare in pratica: “costerebbe tot, ma siamo disposti per voi (per qualche motivo il collezionista è con qualcuno, lui con lei o lei con lui) a darvi l’opera per tot % del valore.”
Ad un livello pratico e internazionale ci sono elementi che fanno davvero crescere il valore delle opere d’arte. Non sono leggi domanda e richiesta, ma sono leggi di Storia dell’Arte. Cosa intendiamo? Parliamo di Vecchia Europa e non consideriamo per un momento le Aste, fulcro anglo-americano (ma l’Inghilterra concepisce entrambi i ragionamenti), meno presenti in Italia e dintorni.
Esiste una piramide. In cima ci stanno le grandi manifestazioni che segnano gli artisti come rappresentativi dell’epoca, Documenta su tutte, ma anche le Biennali, molto forte in classifica è la nostra Venezia. Non le fiere attenzione, le fiere sono solo dei banconi, importante esserci ma vanno presto nel dimenticatoio. Musei e collezioni museali sono il centro della considerazione di valore, che potremmo chiamare anche Processo di Storicizzazione.
Più mostre importanti e pubblicazioni importanti hai fatto, più costi, ma ci sono differenze tra le opere. Un’importante artista, una volta mi mostrò due opere identiche, sempre sue, stesso anno, stesse dimensioni, stessa tecnica, perfino stesso oggetto, differenze minime di colore, due prezzi completamente diversi. Come ce lo spieghiamo? Presto detto. Una era in una collezione museale con tanto di pubblicazione.
Dunque quello che compriamo non è solo l’esperienza, che pure è centrale, ma con lei il blasone, il riconoscimento pubblico, il pezzo di storia che si avvicina. Entrare in una collezione importante, essere ricordati, è la partita. Ecco vediamo il collezionista che si trasforma in pretendente ad un posto nell’eterno seggiolone della storia. Ed ecco che tutto si introflette, come sempre, nel desiderio di immortalità, vero nodo semiotico e filosofico della produzione di oggetti culturali.