Inizierei individuando la partenza di più d’una delle attitudine contemporanee nel lavoro di Manet, ed in particolare passiamo in rassegna alcuni pensieri ispirati dall’Olympia. Si tratta per Manet di attualizzare Tiziano (così come sarà di Goya) su un contemporaneo che non sarebbe aulico, ma che si mostra tale. Con un gesto degli occhi vediamo la Venere di Urbino imponente sinuosa e ricca di carne farsi strada nei pensieri, con un rettangolo di nero a sinistra e uno di apertura in alto a destra, una fuga, uno sfondamento illusorio dietro e dentro lo sguardo. Subito la Maja desnuda guadagna il carattere tremolante della sua visione, ci vede, guardata, con la malizia di Ava Gardner nel 1958. Donne di sogno che guardano noi, me, la camera, il pittore, il guardatore. Bisogna passare dalla notizia che si tratti della prostituta Olympia che si fa pittura, scherno e sogno erotico, beffa e carne viva, per comprendere meglio l’operazione. Il suo carattere di donna in vendita è dato dal fiocco al collo, donna da scartare come regalo gradito, donna algida, con la sfida degli occhi, non timidi ma arroganti. È al contempo nel guardarla meglio bisogna capire una cosa importante: essa non è qui, non nel mondo reale e non è nemmeno davvero nel mondo della pittura. Olympia non esiste prima di se stessa, non ha precedenti, non può appoggiarsi a nulla. E come tale si appoggia al niente. Nasce. Si tratta di uno slittamento, un’inesistenza che mostra il presente che si nega. Il presente è ora totalmente sul piano del linguaggio.1 Linguaggio moderno. Olympia mostra un desiderio recondito, un’eccitazione nascosta dentro ad una facciata pomposa e intellettuale. Dentro ad una storia del segno si insinua un presente che è luogo della mente e del vizio sottopelle. Bataille2 sottolinea di Olympia il suo deludere un’attesa, ci parla di una nudità lasciva riproposta non lascivamente. Un campo negato, una frustrazione che è uno spostamento di senso. Inizio a vedere i segni che questo genera. Eccomi davanti Warhol che parlando del suo video Blow Job del 1964 sosteneva di aver realizzato un video che fallisce tutti i target: si vede troppo per poter appartenere al mondo degli intellettuali, non si vede abbastanza per poter appartenere alla pornografia. Non è esattamente lo stesso deludere un attesa, ma ci va vicino. Viene in mente Courbet, con cui andiamo forse più vicini al punto. Anche lui cerca una modernità nel basso, intendendolo come quotidiano, come reale sgombro, povero. Non si tratta della Creazione del mondo quanto piuttosto di conferire dignità ad un Funerale ad Ornans, a rocce, a cieli bassi guardati da vicino, essere più vicini alla scena perché essere è esserci, e insieme a questo, tentare le grandi dimensioni per scene non epiche, avvolgendosi di realtà. Tuttavia scegliendo questa strada di analisi mancheremmo il punto per eccesso di ortodossia. Pur cercando una visione profondamente contemporanea, l’immagine di Courbet non capisce la modernità nascente in Manet. Non ne capisce il campo extra-ordinario (del mondo sensibile). Lo sbalzo di Manet è di senso, non solo di tema e non di modo, non tanto di argomenti, quanto di semiotica. In comune hanno soltanto una certa ricerca di schiettezza e di presenza, ma Olympia ha in realtà già un carattere di operazione. Nel suo essere un luogo fisico impossibile, una prostituta nel rinascimento oggi, essa si mostra come luogo mentale. Porta con sé più che un barlume di frustrazione, fa si che ogni retaggio pittorico sia frustrato. In questo da una sorta di paradossale scudiscio alla realtà cruda. Olympia, infatti, si diceva, fisica, lo è anche: non volteggia tra Zefiro e le fate. È carne sensuale in mostra e in vendita. Qui si dileggia la pittura. Sempre per Bataille3, Manet uccide la vittima senza dimenticarla. Come in ogni sacrificio la vittima è centrale, non è una comparsa, è il perno della trasformazione. Nessuno può uccidere la vittima sacrificale. Altro paradosso. Essa deve morire come deve morire. Senza di lei avremmo solo alambicchi e desideri vani. Manet allora prende Olympia e la porta fino al suo livello importante: la martirizza donandola all’accademia dell’arte. Martirizzata essa ora si erge. La sua trasformazione apre mondi. Mondi che arrivano fino a noi. Cinico tv, che in qualche modo proviene da Anche i nani hanno cominciato da piccoli di Herzog, sembrerebbe appartenere piuttosto alla crudezza di Courbet che non a questo, ma è da Manet invece che prende corpo ogni visione sacrificale. Dovrebbe essere infatti un Courbet perso di senso, popolarmente cinico come lui non era. Nella visione di Ciprì e Maresco è adesso e qui che l’umanità si è degradata, il mondo è finito, le donne non esistono più. Di Courbet, Cinico Tv capisce la freschezza, la verità, la crudezza rocciosa. Ma è da Manet che acquisisce la possibilità di volgere il senso della cosa altrove, di sacrificare, appunto, il soggetto, di farne tormento e visione. Tutto questo portato ad un livello degradato e post-atomico impossibile da pensare precedentemente. L’affinità è infatti nella scoperta della possibilità informe della realtà. Il film sopracitato di Herzog infatti è un esempio migliore, poiché tiene ancora il punto con il flusso della vita, dove Ciprì e Maresco lo perdono. Herzog è qui proprio come Olympia passeggia dentro alle esposizioni del 1864 e, al contempo, lo si è detto, non c’è. Torniamo a guardare Olympia nel suo tempo; essa è una nuova realtà che si erge sopra tutto e tutti come gesto della mente, apertura fin surrealista. Ma se il surrealismo apriva alla mente mantenendo, anzi generando simboli, e se perfino l’espressionismo astratto terrà il punto della sensazione e del sensibile, è invece nell’astrazione di questo groviglio emotivo, che, con Olympia, scopriamo altro. Scopriamo che esiste un’apertura della mente che è un’abbandono, che è in un torbido, nel senso di non liscio, non puro, accordo unilaterale con i pensieri nascosti dall’inconscio. Qualcosa che non affiora per simboli chiari, ma come un magma, una lascivia che si muove appunto, dentro all’eleganza, una solitudine dentro all’esibizione. Non esattamente uno sputo della mente ma i meandri: una crasi tra bellezza e lirismo, la bellezza del mondo non lirico. L’aulico dello sporco. Olympia ti guarda irriverente negli occhi, nuda e riverita, non nasce da conchiglie del mare ma viene dalla strada e nasce dalla mente, da un luogo del pensiero possibile e forse necessario. Una donna in vendita nel contesto aulico della grande pittura, della grande aristocrazia, un luogo che svela un torbido sommesso presente in tutte le nudità delle Veneri nascenti dalle acque, punctum che svela la mente pornografica dei parigini del tempo camuffati da greci e da questa strada svela ogni pulsione erotica trasversalmente ad ogni epoca. Un luogo cercato, poesia quasi pasoliniana, ma in realtà, vista oggi, addirittura felliniana della vita.
1Yves Bonnefoy- R. Krauss – L’informe – Bruno Mondadori Editore
2Ibidem pag 34
3Ibidem pag 9